dei Crateri da Impatto
Considerando i crateri terrestri
ancora ben conservati, per i quali, cioè, l'erosione non ha ancora operato importanti
modifiche morfologiche, si può notare che manifestano strutture analoghe ai crateri
riscontrabili sulla Luna e sulle altre superfici planetarie: man mano che aumentano le
dimensioni del cratere, si passa da strutture semplici, dalla caratteristica forma di
scodella, a strutture sempre più complesse, la cui morfologia è estremamente variegata. E proprio rispettando tale osservazione le strutture da impatto vengono distinte in crateri semplici e crateri complessi. Crateri semplici Le strutture da impatto di questo tipo sono caratterizzate dalla tipica forma di depressione circolare con bordi rialzati rispetto al terreno circostante, provenienti dall'accumularsi degli ejecta attorno al luogo dell'impatto. Il diametro di tali strutture semplici, sul nostro pianeta, è contenuto entro circa 2-4 km; oltre tale misura, infatti, il cratere comincia generalmente ad assumere una morfologia più complessa. Il parametro che determina la morfologia finale di un cratere è il valore della forza di gravità sulla superficie: maggiore è tale valore e minore sarà il diametro di transizione. Sulla Luna, la cui gravità è circa un sesto di quella terrestre, il passaggio da formazioni semplici a complesse si ha per diametri dell'ordine di 15-20 chilometri. Oltre al fattore-gravità, comunque, un ruolo importante lo giocano anche le proprietà dei terreni nei quali avviene l'impatto ed il grado di resistenza dei materiali che li compongono. La struttura solitamente menzionata per illustrare questa tipologia di crateri è il Meteor Crater in Arizona .
In generale nei crateri semplici il rapporto tra la profondità ed il
diametro è di circa 1:5 - 1:7, rapporto che, nel caso dei crateri complessi, diventa
circa 1:10 - 1:20.
Per quanto riguarda, poi, la profondità di un cratere occorre
distinguere (come è stato indicato anche nello schema precedente) quella che deve essere
considerata la profondità reale, cioè la profondità della struttura al termine della
sequenza impattiva, da quella apparente, che è praticamente quella misurabile ai nostri
giorni. Crateri complessi La varietà delle forme che le strutture riconducibili a questo secondo gruppo possono assumere è veramente notevole, anche se, comunque, si possono evidenziare alcuni tratti caratteristici. Già si è accennato ad un rapporto diametro/profondità inferiore a quello dei crateri semplici, il che significa che tali strutture hanno, in proporzione, una minore profondità. Ma le caratteristiche fondamentali di un cratere complesso possono essere identificate nella presenza di un picco centrale e di bordi multipli concentrici (multi ring) che circondano il punto dell'impatto, strutture riconducibili al rimbalzo elastico del terreno che tende a riprendere la sua posizione naturale dopo la compressione generata dall'impatto nella fase di creazione di una profonda cavità transiente. Un fenomeno che può dare un'idea di ciò che accade è osservabile lanciando un sasso in acqua: si può chiaramente notare il formarsi di una colonna ascendente centrale e l'innescarsi di onde concentriche intorno al punto d'impatto. Ed effettivamente i materiali fusi a seguito dell'enorme quantità di energia sprigionata dall'impatto si comportano proprio come l'acqua, formando anelli concentrici che, con il successivo raffreddamento, si solidificano. Il crollo successivo delle pareti contribuisce, infine ad allargare la struttura portandola alle sue dimensioni finali.
Anche se il picco centrale e la struttura ad anelli concentrici sono
chiaramente visibili, nonostante la pesante e prolungata azione degli agenti atmosferici,
in molti crateri terrestri (Sudbury, Vredefort, Manicouagan, Clearwater
Lakes,
), gli esempi più significativi di crateri complessi li possiamo più
agevolmente individuare sul nostro satellite, dove la mancanza di fenomeni erosivi ha
mantenuto ogni cosa con il suo aspetto originale. Identificazione E' chiaro che la prova lampante e definitiva di una origine impattiva per una struttura craterica è costituita dal rinvenimento nella zona craterica di frammenti meteoritici: sarebbe indubbiamente il classico ladro colto con le mani nel sacco. Ma questa situazione si verifica raramente. Già si è avuto modo di dire, infatti, che, a causa della smisurata quantità di energia associata alla formazione di un cratere in seguito ad un impatto, ben poco può rimanere del proiettile, fuso e talvolta vaporizzato nell'evento e destinato inevitabilmente a mescolarsi con le rocce terrestri presenti. Solamente nei crateri più piccoli, nella formazione dei quali è stata pertanto coinvolta una minor quantità di energia, è stato possibile ritrovare dei frammenti di origine non terrestre, che potessero testimoniare direttamente e senza ombra di dubbio l'origine impattiva della struttura. A questo proposito ricordiamo ancora le lunghe e infruttuose trivellazioni (anche per l'inadeguatezza dei mezzi a sua disposizione) dell'Ing. D.M. Barringer sul fondo del Meteor Crater, impegnato per 25 anni nella ricerca del ricchissimo giacimento minerario di origine extraterrestre suggerito dal rinvenimento nelle zone adiacenti di frammenti metallici composti prevalentemente da ferro (92%) e nickel (7%). Dovendo, per forza di cose, scartare il metodo dell'identificazione su basi morfologiche, che per altro funziona egregiamente (non fosse altro che per il fatto di essere l'unico a nostra disposizione) per le altre superfici planetarie, bisogna ricorrere ad altri indizi che, con sufficienti garanzie di affidabilità, ci possano consentire di associare un cratere ad un episodio impattivo. Generalmente ci si riferisce a tali indizi con il termine di metamorfismo da shock, intendendo con ciò i profondi e radicali cambiamenti che le smisurate energie in gioco possono provocare nelle rocce terrestri presenti sul luogo dell'impatto. Le strutture più facilmente identificabili sul terreno e che costituiscono l'indizio più certo dell'origine impattiva di un cratere sono senza dubbio gli shatter-cones; oltre all'impatto, infatti, non si conosce nessun altro meccanismo (tranne il verificarsi di un'esplosione nucleare) che possa generare tali strutture. Si tratta di fratture coniche che si sviluppano, isolatamente o a gruppi, in rocce generalmente a grana fine e che mostrano sulla superficie delle striature longitudinali, richiamando vagamente la trama di una coda di cavallo.
Il passaggio di un'onda di shock nella massa rocciosa lascia delle
tracce anche nella struttura cristallina di molti minerali: tra questi si possono ad
esempio citare il quarzo, nella cui struttura si sviluppano formazioni piane dette lamine
di shock, oppure il plagioclasio (una classe di minerali molto comune, che costituisce
circa il 50% della crosta terrestre) che può venire parzialmente trasformato in vetro
diaplettico (vetro di alta densità formatosi allo stato solido in seguito alla
presenza di elevatissime pressioni) che appare isotropo e uniforme in tutte le
orientazioni. Non è sempre stata una cosa automatica,
tuttavia, impiegare queste strutture presenti nelle rocce quali strumenti di diagnosi
nell'identificazione dell'origine impattiva di un cratere terrestre.
|
Tutti i diritti commerciali sui testi resi disponibili online
sono riservati.
Il loro download è libero e, di quelli da me prodotti,
ne autorizzo l'uso personale, didattico e di ricerca.
E' in ogni caso gradita la segnalazione della fonte
ed una comunicazione del loro utilizzo.